Spesso il desiderio d’apparire esperti impedisce di diventarlo davvero, perchè si desidera maggiormente mostrare quel che si sa che non imparare quel che s’ignora.
Madeleine de Souvre de Sable
In tempi non lontani molti di noi sono stati affascinati dai miti di Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Colombo, il tenente Sheridan, fino all’odierno commissario Montalbano, personaggio di Andrea Camilleri. E anche da quelli, più recenti, dell’esperto consulente genetista forense. Questi investigatori incarnano pienamente il mito dell’esperto. Facevano dell’intuito il fulcro delle loro investigazioni, ma ormai hanno ceduto il passo ai moderni investigatori. Quest’ultimi, nati dalle serie televisive americane, risolvono i crimini prevalentemente attraverso le indagini criminalistiche. Ne ho parlato in un precedente articolo qui.
Oggi tuttavia viviamo un momento storico molto particolare, dove la comunicazione e diventata così potente da dirottare gli equilibri verso una pressochè totale mancanza di prudenza. Siamo ormai abituati ai programmi di approfondimento tematico su casi di omicidi o crimini di rilevanza nazionale che portano nei salotti degli spettatori, attraverso la televisione, le cronache giudiziarie attuali, con la presenza dei protagonisti delle vicende, membri della polizia giudiziaria, avvocati e soprattutto esperti forensi.
Questa percezione della relativa facilita e infallibilità delle analisi criminalistiche ha profonde ripercussioni sul sistema giudiziario, come hanno messo in luce varie ricerche. E il ben noto effetto CSI, termine che riprende appunto una nota serie televisiva, progenitrice di moltissime altre, nella quale le attività forensi sembrano in grado di spalancare le porte del carcere a malviventi pronti a confessare i loro delitti di fronte alla forza della scienza [1].

Quando realtà e finzione restano separate, effettivamente non si verificano grossi problemi. Il fatto e che anche i giudici tendono a essere inevitabilmente condizionati dalla visione di queste trasmissioni.
Gli eccessi dell’esperto consulente genetista forense
Si deve quindi riconoscere che l’esperto, pervaso dal fascino indiscutibile che gli conferisce la sua «arte» nel risolvere il crimine, gratificato da diversi punti di vista, anche da quello economico, nell’accettare l’onere di adempiere all’incarico di consulente, e tuttavia esposto a una serie di «eccessi» connaturati con le proprie funzioni e con la necessità di mantenere inattaccabile il proprio prestigio.
• Eccesso di sicurezza nelle proprie capacita. Stefano Della Vigna, professore di Economia comportamentale dell’Università di Berkeley, riporta una serie di studi che indicano come la presunzione sia una caratteristica
molto generalizzata della psicologia umana. La presunzione può indurre a commettere degli errori che nella vita quotidiana si possono manifestare in comportamenti innocui, come per esempio iscriversi a una palestra che non frequenteremo mai o a comprare una multiproprietà nella quale non ci sogneremo mai di andare. Si tratta, in altre parole, dell’eccessiva sicurezza nelle proprie capacita: crediamo di essere superiori alla media e di essere immuni dal commettere errori, pensiamo di conoscere tutto e di non aver bisogno di altre conoscenze.
A potenziare questo fenomeno se ne aggiunge un altro, anch’esso estremamente potente: l’effetto Dunning-Kruger, da un lavoro del 1999 di due studiosi della Cornell University [2]. Secondo questa ricerca tendiamo ad avere un’alta opinione delle nostre abilita in molti domini, sovrastimando le nostre capacità ed estendendo la nostra incompetenza fino alla mancanza dell’abilità di rendercene conto. In altri termini: chi è incompetente non sa di esserlo.
Gli scienziati sociali hanno così ideato il termine «calibratura» per valutare fino a che punto si e presuntuosi. Esso misura la differenza tra le capacità reali e quelle percepite. Non stupirà sapere che la maggior parte delle persone e «mal calibrata», soprattutto nel caso di capacità importanti come quelle di cui si ha bisogno per far bene il proprio lavoro [3].
Una delle categorie professionali meglio calibrata e quella dei meteorologi e questo e imputabile al fatto che tali professionisti possono avvantaggiarsi di un rapido feedback correttivo, cioè un segnale che fornisce informazioni sulle azioni eseguite e sui risultati ottenuti. Se dico: «Domani quasi certamente pioverà», domani potrò vedere l’effetto delle mie previsioni e potrò registrare l’esperienza; a lungo andare potrò avere una statistica forte che permetterà di azzeccare quasi tutte le previsioni. Si tratta di un processo dinamico che nel caso dei meteorologi e molto rapido (il giorno dopo ho l’evidenza se la previsione e giusta) e quindi molto efficace.
Nel caso di un esperto forense questi feedback possono durare anche molti anni, se si applicano all’esito di una vicenda processuale. I riscontri a un’attività che abbia avuto un esito sfavorevole, e che quindi sono percepiti come negativi, sono poi particolarmente spiacevoli e si tende a sottrarsi, se possibile, a una rivalutazione dell’attività compiuta.
In altri termini cerchiamo di rifiutare il feedback negativo perchè la cosa ferisce i nostri sentimenti, cosi lo travisiamo attribuendo l’errore alla casualità, a un evento episodico, al fatto che nostro figlio ci ha tenuti svegli tutta la notte.
L’accumulo delle esperienze negative non registrate e non elaborate attraverso una procedura di rivalutazione consapevole non porta ad alcun miglioramento, anzi, continuiamo a sbagliare. Stranamente, con l’aumentare delle difficolta dei compiti, il grado di presunzione tende ad aumentare, non a diminuire, anche se si sarebbe portati a credere il contrario, con l’illusione di poter in certa misura controllare gli effetti casuali [4].
• Eccesso di informazioni. La grande disponibilità di informazioni che internet mette a disposizione di tutti in poco tempo sembra consentire all’uomo di soddisfare un altro dei suoi più ancestrali desideri, quello di sapere la verità del mondo [5]. Coltiviamo l’illusione di poter accedere a qualunque tipo di informazione con una semplice interrogazione di un motore di ricerca. Si crea quindi la figura dell’«ignorante inconsapevole», una persona che non ha la percezione di ignorare il significato delle cose di cui sta parlando. Ulteriore evidenza dell’effetto Dunning-Kruger. Si tratta purtroppo di un fenomeno subdolo che può interessare ognuno di noi, in ogni aspetto della vita quotidiana.
Siamo cosi sedotti dal potere accattivante dell’informazione che coltiviamo l’illusione che ci fa credere che più leggiamo, ascoltiamo, vediamo, più avremo conoscenza. Si può invece innescare un fenomeno non desiderato. Il cosiddetto «sovraccarico cognitivo» (information overloading), dovuto alle troppe informazioni che si ricevono in un tempo contenuto, per poter prendere una decisione o scegliere quella più giusta adatta per l’occasione.
Un effetto ricordato da Arthur Conan Doyle in Uno studio in rosso. Nel punto in cui Sherlock Holmes, riferendosi al cervello, lo definiva come una soffitta vuota che si deve riempire con mobilia a scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono col non trovare più il loro posto o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose, cosicchè diventa molto difficile trovarle […]. E’ un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura […] viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna appresa in passato.
Questo genere di osservazioni è stato ripreso da diversi autori recenti per lo studio del processo mentale umano [6]. Naturalmente l’ampia disponibilità di informazioni non e per forza qualcosa di negativo: dipende dall’uso che se ne fa.
• Eccesso di attività. A queste tendenze naturali della psicologia comportamentale si aggiungono poi altri effetti propri delle organizzazioni per cui si lavora. Uno dei più caratteristici delle società moderne è la necessità di essere multitasking, cioè fare più cose contemporaneamente. Il fatto è che il nostro cervello non e progettato per la multiprocessualità. Passare da un’attività all’altra genera problemi di ogni tipo, compreso l’oblio completo dei compiti che avevamo iniziato a svolgere per primi.
Si tratta di meccanismi ampiamente studiati anche a livello biochimico. E’ noto che il multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e di adrenalina, l’ormone del «lotta o scappa». Quest’ultimo può stimolare eccessivamente il cervello e causare annebbiamento o pensieri disturbati. Si crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, premiando effettivamente il cervello a perdere la concentrazione e a cercare stimoli esterni [7].
Pretendere quindi da un ristretto numero di persone l’esecuzione contemporanea di molti lavori complessi, è pericoloso. Come per esempio quelli che si conducono in un laboratorio multidisciplinare, rappresenta l’esposizione a un rischio potenziale i cui effetti non sono prevedibili. La complessità che gli accertamenti di genetica forense hanno oggi raggiunto indica chiaramente che deve trattarsi di un settore da tenere disgiunto da qualunque altra attività.
• Eccesso di stress. Affrontare un esame forense rappresenta per l’analista indubbiamente una fonte potenziale di stress psicofisico. La causa è dovuta a una serie di fattori. La pressione degli investigatori che pretendono risposte in termini brevi, l’opinione pubblica che vuole sia risolto al più presto un episodio che desta allarme sociale, il consulente di parte che verifica ciascuna fase analitica. L’effetto e la dinamica del flusso delle informazioni dentro di noi, in una situazione di stress emozionale, mette in rilievo una particolare caratteristica umana: per evitare l’ansia escludiamo importanti porzioni di consapevolezza, creando parti cieche [8]. Questa diagnosi può valere sia per gli autoinganni che per le illusioni collettive.
Si tratta di una tendenza che può arrivare a essere una vera e propria malattia. Buddhagosa, un monaco del V secolo che scrisse un testo indiano di psicologia, descrivendo esattamente la stessa deviazione della mente chiamandola moha, «illusione», la definì come «l’annuvolamento della mente che porta a un’errata percezione dell’oggetto nella sfera della consapevolezza» [9].
La consapevolezza dell’esperto consulente genetista forense
L’illusione, secondo lui, nasconde la vera natura delle cose e si trova in linea con i dati forniti dalla psicologia cognitiva. Detta anche «attenzione non saggia», l’illusione porta a una falsa visione, a interpretare in modo errato ciò in cui ci si imbatte. Essa e, nelle sue parole, l’origine di tutti gli stati mentali «insani». Situazioni esasperate in cui molti fattori di tensione si sommino (si pensi a un accertamento nel caso di un disastro di massa) possono procurare effetti di questa portata che debbono essere gestiti in modo razionale con pianificazioni adeguate.
Credo che la consapevolezza profonda delle proprie capacità e dei propri limiti e una discreta dose di equilibrio siano qualità indispensabili. Certamente per chiunque voglia svolgere la professione di esperto forense, per qualunque settore della criminalistica. È certo che assumere incarichi di consulenza in ambito giudiziario è un lavoro di grande responsabilità. Oltre a possedere un indispensabile bagaglio professionale, l’esperto si troverà infatti proiettato in contesti diversi da quelli protetti del proprio laboratorio. Incontrerà urgenze differenti, comprese sollecitazioni e trappole emozionali, spesso sconosciute.
In molte circostanze della mia vita professionale mi sono trovato a verificare che il comportamento e i processi mentali a cui tutti siamo sottoposti hanno una grandissima influenza in ciò che facciamo. Ne ho parlato nel dettaglio nell’ultimo libro, Profili di Qualità. Anche il modo di lavorare in un laboratorio, di relazionarsi con l’utenza e con il cliente, di testimoniare durante un processo ha una grande influenza. Non dovremmo mai dimenticare che i magistrati possono prendere decisioni diverse a seconda di come i risultati sono presentati. Più potente è il risultato dell’esame, più vi sarà la tendenza in chi ascolta a essere influenzati nelle valutazioni e nei giudizi.
er questo motivo ritengo che il lavoro dell’esperto sia certamente più accurato se egli ha una conoscenza limitata, o addirittura nessuna, riguardo alle circostanze relative al fatto giudiziario in esame e quindi esegue l’esame del reperto praticamente «in cieco». Il regolamento di attuazione della legge sulla Banca dati del DNA accoglie pienamente queste indicazioni e infatti al comma 5 dell’art. 6 riporta che:
il personale in servizio presso i laboratori procede al trattamento del reperto biologico utilizzando un LIMS che genera automaticamente il codice reperto biologico. Il suddetto codice, utilizzato nel laboratorio nelle varie fasi della tipizzazione del profilo del DNA, non consente l’identificazione diretta del reperto biologico.
Nella realtà operativa, tuttavia, vi sono diverse circostanze nelle quali è utile, dal punto di vista analitico, conoscere la qualità del campione da esaminare. Proprio per effettuare metodiche analitiche mirate. In altri contesti, come quelli civili per accertamenti di paternità, l’esame si esaurisce nella fase tecnica. Dai profili genetici delle parti coinvolte emerge la verità biologica. La conoscenza delle vicende processuali che hanno condotto a richiedere l’esame genetico è solo una curiosità da parte dell’analista. Più voglia di pettegolezzo che esigenza professionale «per bene e fedelmente adempiere all’incarico».
Ritornando al monaco, la cura suggerita da Buddhagosa per evitare stati mentali insani è panna, ovvero l’introspezione che permette di vedere le cose così come sono. Nei termini del nostro modello mentale ciò significa una «comprensione che non sia distorta dal pressante bisogno di evitare l’ansia».
In altri termini è necessario lavorare con la dovuta tranquillità in queste delicate attività, senza farsi cogliere dalla frenesia di raggiungere, a tutti i costi, un risultato. Occorre prendersi tutto il tempo necessario per condurre gli accertamenti, cercando di essere obiettivi e non farsi distrarre dalle mille trappole mentali che costituiscono in definitiva il pericolo maggiore per l’esperto forense.
[1] R. Scott – C. Skellern, DNA evidence in jury trials: the “CSI effect”, in J Law Med (2010)18/2, 239-262; J.A. Holmgren – J. Fordham, The CSI effect and the Canadian and the Australian Jury, in J Forensic Sci. (2011)56 Suppl 1, 63-71; J. Stojer, The CSI effect and its impact on the perceptions of forensic science experts’ work, in Arch Med Sadowej Kryminol. (2011)61/4, 351-359.
[2] E. Morris, The Anosognosic’s Dilemma: Something’s Wrong but You’ll Never Know What It Is (Part 1), in New York Times, 20 giugno 2010.
[3] F. Pellegrino, Personalità e autoefficacia, Springer, Milano 2010.
[4] E. Langer, The illusion of control, in J of personality and social psychology (1975)32, 2.
[5] D. Weinberger – N. Mataldi, La stanza intelligente. La conoscenza come proprietà della rete, Codice, Torino 2012.
[6] D. Smith, Il metodo Sherlock Holmes. La manutenzione del cervello: come migliorarele tue capacità, De Agostini, Novara 2013.
[7] D.J. Levitin, The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload, E.P. Dutton, New York 2014.
[8] D. Goleman, Menzogna, Autoinganno, Illusione, BUR, Milano 2005.
[9] Buddhaghosa, visuddhimagga, The path of purification, Shambhala, Berkeley 1976.