Adesso la domanda è questa – disse. – Può sbagliarsi Hercule Poirot?
Agatha Christie
Nessuno può avere sempre ragione – rispose la signora Lorrimer in tono gelido. – Io, invece, sì – disse Poirot – ho sempre ragione. Succede tanto invariabilmente che me ne stupisco io stesso.
La necessità dell’introduzione nel processo della prova scientifica rende praticamente obbligatorio ricorrere a persone che abbiano specifiche competenze tecniche. Sia il codice civile che quello penale offrono questa possibilità alle parti, le quali possono avvalersi di propri esperti secondo procedure molto ben regolate dalle normative.
Specialmente in materie così complesse come quella di cui si tratta, è impensabile che i giuristi possano sapere tutto e la necessità del ricorso a esperti è quindi fondamentale e necessaria (Corte di Cassazione, sentenza del 20-04-2004 n. 7500, GaD, 22, 58). Tra queste si colloca il consulente genetista forense, coinvolto nelle indagini per la parte pubblica (CTU) o per la parte privata (CTP).
Si tratta di figure che si formano appositamente per le controversie giudiziarie e quasi mai provengono dall’ambiente delle scienze pure. Gli scienziati sono infatti spesso riluttanti a comparire nelle vesti di periti, perché si tratta di persone abituate a considerarsi osservatori imparziali e a discutere in ambienti scientifici molto distanti dalle arene dei tribunali. Vi è poi una sorta di cautela nel mettere in discussione la propria disciplina scientifica, nel timore che un diverbio con un collega possa gettare discredito sull’intera categoria.
La figura dell’esperto forense è conosciuta in ambito giurisprudenziale come «consulente» e si colloca in varie fasi del processo, sia civile che penale. Quando l’esperto svolge le proprie funzioni per il giudice del dibattimento o per quello dell’udienza preliminare viene detto «perito»[1].
In ambito di DNA si parla dunque di perito genetista forense. L’ausiliario del magistrato è quindi soggetto estraneo al giudizio e per questo dovrebbe soltanto fornire la propria esperienza tecnico scientifica al fine di risolvere problematiche inerenti il singolo elemento di prova. Così, le attribuzioni e gli oneri per la pubblica accusa e l’organo giudicante permangono immutati anche in presenza dell’esperto. In particolare non cambia la funzione essenziale del giudice decisore e la sua qualità di peritus peritorum del processo. Non potendo utilizzare le proprie conoscenze nel corso del giudizio, in ossequio al principio del divieto di scienza privata, egli deve comunque emettere una sentenza, motivandola.
Fanno parte dei compiti del perito e del consulente la responsabilità diretta della corretta esecuzione delle analisi, l’obbligo di adempiere al proprio ufficio, di mantenere il segreto sulle operazioni svolte e sui risultati ottenuti. Eseguite le operazioni in un tempo accordato, egli dovrà restituire i reperti e depositare relazione scritta, poi utilizzata ai fini investigativi e/o durante il dibattimento.
Per quanto concerne l’esame genetico spesso, utilizzando un quantitativo ridotto di materiale biologico, vi è la possibilità per il pubblico ministero di eseguire tramite il proprio consulente di genetica forense accertamenti ripetibili (ex art. 359 c.p.p.), senza quindi procedere alla discovery nei confronti di un sospettato.
Quando la natura e soprattutto la quantità del materiale in esame sia ridotta e comunque destinata a completa distruzione a seguito degli accertamenti, si dovrà ricorrere alla disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili (ex art. 360 c.p.p.). In questo caso quindi con le opportune garanzie difensive, ivi compresa la possibilità per la difesa di ricorrere a propri esperti. I consulenti tecnici della parte (CTP) i quali potranno intervenire verificando l’attività del consulente della parte pubblica (CTU).
All’attività di consulenza fanno eccezione tutte le operazioni che la polizia giudiziaria compie per propria iniziativa, o su delega del pubblico ministero (art. 370 c.p.p.). Queste si concretizzano nella disciplina del rilievo tecnico [2] e più in generale in quello delle ispezioni (artt. 244-246, 354 c.p.p. commi 2 e 3; artt. 356, 357 c.p.p. comma 2 lettera e; art. 113 cod. att.).
Va sottolineato, comunque, come si stia assistendo a una progressiva evoluzione in ambito giurisprudenziale riguardo al valore della consulenza che sta rapidamente acquisendo un’importanza paragonabile a quella della prova legale.
Per esempio, recentemente in Corte di Cassazione civile, sez. III, sentenza del 12-02-2015 n. 2761, riferendosi a un’attività peritale, da ruolo di consulenza deducente «essa stessa può costituire fonte oggettiva di prova, qualora, oltre che valutazione tecnica, costituisca accertamento di particolari situazioni di fatto (c.d. consulenza percipiente), rilevabili solo attraverso cognizioni tecniche e percepibili esclusivamente attraverso specifiche strumentazioni tecniche». Si trattava, però, di una consulenza in ambito civile e riguardo a danni all’interno di un condominio.
Comunque la giurisprudenza si è già da molto tempo espressa sul valore probante delle impronte digitali, qualora sia individuato un certo numero di minuzie, e anche il DNA sta evolvendo rapidamente in questa direzione, non solo per gli accertamenti in ambito civilistico.
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 38184/2022 ha stabilito per esempio che in tema di prove, gli esiti dell’indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova piena e non di mero elemento indiziario, atteso l’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, sicché sulla loro base può essere affermata la penale responsabilità dell’imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti.
Per adesso non c’è indicazione di alcun riferimento numerico relativamente al valore della prova del DNA, ma ci arriveremo presto.
Un aspetto da non sottovalutare è poi quello della testimonianza in aula, momento nel quale deve essere trasposto in termini chiari e comprensibili il lavoro effettuato in laboratorio. Tra le prerogative dell’ausiliario del giudice vi deve essere quindi anche una buona capacità comunicativa.
Diviene quindi fondamentale la funzione dell’esperto, perché il magistrato tenderà sempre più a richiedere giudizi su questioni di natura tecnica. Questi sono fondamentali per formare il proprio convincimento, divenendo sempre meno importanti le altre questioni circostanziali. Questa sorta di delega, che può giustamente suscitare perplessità in più d’uno, avviene già adesso in molti procedimenti. Ma anche in tutte le fasi del procedimento, a partire dalle indagini preliminari del pubblico ministero, a quelle del difensore, a quelle dell’organo giudicante.
A ben vedere, quindi, il compito del magistrato è piuttosto difficile. Qualora s’imbatta nella necessità di accedere, tramite un esperto, a una conoscenza scientifica. E ancor più difficile qualora si tratti di una materia così recente, e così complessa, come la genetica forense.

Anche il nostro ordinamento incardina il rito sul modello accusatorio. Così, i comportamenti degli esperti si profilina, sempre più, su quelli tradizionalmente utilizzati nei Paesi dove da molto tempo vige il modello della common law.
Durante il dibattimento avvengono frequentemente tentativi di decostruzione delle tesi accusatorie, cercando di scardinare proprio quelle attività scientifiche che hanno portato al rinvio a giudizio, senza alcuna esclusione di colpi, compresi i tentativi di delegittimazione degli esperti.
Vige il ben noto principio del the winner takes all. Secondo questo motto quale qualunque strategia processuale che porti alla vittoria in un processo, sarà la benvenuta. È un fenomeno che si verifica prevalentemente nel processo penale anglosassone a fronte di evidenze prodotte dalla parte pubblica. Ma è comune anche in Italia, quando gli interessi economici sono importanti anche in ambito civile gli scontri possono essere roventi. Non è detto si tratti di un modello negativo.
I difensori del processo accusatorio affermano che le decisioni giuridiche più eque si raggiungono quando due parti «dibattono un caso nel modo più sleale possibile, da punti di vista totalmente opposti, perché tutte le considerazioni importanti saranno messe in luce» [3].
La realtà dei processi italiani degli ultimi anni ci ha infatti mostrato come l’attività del consulente tecnico della pubblica accusa tenda in qualche modo a suffragare l’ipotesi di incriminazione dell’imputato, mentre quella della difesa è volta prevalentemente a evidenziare errori di tipo tecnico e procedurale nel lavoro dei consulenti della pubblica accusa.
La differenza sostanzialmente è determinata dall’interesse nel processo. Non è detto debba necessariamente trattarsi di una convenienza economica, anche se chiaramente un cliente facoltoso potrà permettersi una difesa migliore.
Molti processi hanno oggi una straordinaria visibilità mediatica grazie a trasmissioni televisive e interviste di arrembanti giornalisti proprio sulle scalinate dei palazzi dei tribunali. Questo indubbiamente induce molti consulenti a offrire le proprie prestazioni a fronte di un sicuro ritorno pubblicitario.
È frequente infatti riscontrare nei curricula di molti esperti, a dimostrazione della propria esperienza professionale e della propria competenza, l’elencazione dei più importanti processi che li hanno visti coinvolti, evidentemente elemento di qualificazione per la scelta dell’esperto.
[1] Sull’argomento esiste una sterminata bibliografia; cf. per esempio: M. Conte, La consulenza tecnica, Giuffrè, Milano 2004; S. Pollastrini – Namirial S.p.A., Il Manuale del C.T.U., Wolters Kluwer Italia 2013; G. Brescia, Manuale del perito e del consulente tecnico nel processo civile e penale, Maggioli, Rimini 2015. Volendo anche U. Ricci et al., La prova del DNA per la ricerca della verità: aspetti giuridici, biologici e probabilistici, Giuffrè, Milano 2006, cap. VII.
[2] F. Donato, Criminalistica e tecniche investigative, Editoriale Olimpia, Milano 2006.
[3] S. Jasanoff, La scienza davanti ai giudici, Giuffrè, Milano 1995, 96.