Ricordo la grande enfasi che si ebbe dopo le prime applicazioni della genetica forense nelle investigazioni. In Italia era poco più di una lieve percezione in verità, perché si trattava di una materia nuova, applicata da pochissime strutture di medicina legale, sparse nel territorio, e dalla sola polizia scientifica di Roma.
Dopo l’entusiasmo iniziale, e sempre a traino delle esperienze anglosassoni, qualche perplessità si iniziò ad avere anche in Italia. In particolare dopo la battuta d’arresto negli Stati Uniti con la famosa «sentenza Castro»[1]. La corte respinse infatti una prova del DNA presentata da una ditta commerciale. In quella circostanza era stato usato un sistema analitico non sottoposto a validazione.
Poi le tecniche migliorarono divenendo più robuste e affidabili, ma pur sempre di metodi scientifici si trattava, per i quali esistevano margini di incertezza. Ma di cautele si sentiva parlare raramente, nel nostro Paese. Solo qualche esperto aveva l’onestà intellettuale di presentare ai convegni internazionali (i luoghi deputati allo scambio di informazioni tra gli specialisti) anche evidenze che dimostravano come fosse possibile generare esami completamente errati con i nuovi kit disponibili [2].
Rari segnali che avrebbero dovuto interessare molto gli esperti, ma che pochissimi avevano la volontà di cogliere.
In linea generale è infatti raro sentir parlare di risultati tecnici fallibili e ancor meno di errori, il che è inaccettabile all’interno di una comunità di esperti, proprio nei territori dove dovrebbe essere professata la correttezza e il rigore scientifico, considerato che proprio presentare le fallibilità di un metodo o sistema analitico è l’unico modo per superarne i limiti.
Viceversa si è registrata, più volte, la tendenza a travalicare i confini di ciò che è scientifico. Fino al punto di sconfinare nella cosiddetta «scienza spazzatura» (junk science). Il termine è utilizzato nelle controversie politiche e legali negli Stati Uniti. In USA così si indicano dati scientifici, di ricerca o analisi falsi o tendenziosi [3]. Le esperienze di altri Paesi dimostrano purtroppo, e solo a posteriori, come gli errori nelle interpretazioni di analisi criminalistiche non siano solo occasionali, come il fatto che esistano pseudo-esperti, anche all’interno di strutture che sono invece deputate a offrire le massime garanzie di qualità e imparzialità [4].
Negli Stati Uniti è attiva da molti anni un’organizzazione no-profit, nota come Innocence Project [5]. L’organizzazione no profit si occupa della revisione di casi giudiziari passati in giudicato, nei quali i condannati professano la loro innocenza. I numeri sono impressionanti.

Alla data dell’8 aprile 2016 ci sono state 337 persone rimesse in libertà. Alcune di queste erano in attesa della data della pena capitale. Il numero medio di anni che queste persone hanno trascorso in carcere, prima di essere scagionate raggiunge il ragguardevole, ma non lusinghiero, numero di 14. Il progetto ha aiutato, inoltre, a individuare 140 reali autori dei fatti per i quali si stava procedendo.
Dando un’occhiata ai casi giudiziari italiani che, dopo molti anni, hanno dimostrato l’innocenza di persone ingiustamente condannate. Le statistiche in merito ai fallimenti del sistema giustizia sono piuttosto inquietanti. Secondo Il Tempo, dal 1991 al 2014 le ingiuste detenzioni e gli errori giudiziari sono costati in totale quasi 581 milioni di euro. Questo per circa 23.000 vittime conclamate di malagiustizia in 23 anni.
Il quadro è doppiamente preoccupante. Da una parte l’esborso per lo Stato pare sempre più spropositato, dall’altra (evidentemente) sono troppi quelli che subiscono errori giudiziari [6]. I tribunali riconoscono ogni anno 2.500 ingiuste detenzioni, ma ne risarciscno solo un terzo. Stefano Livadiotti, nel libro Magistrati, l’ultracasta, scrive. Le toghe «hanno solo 2,1 probabilità su 100 di incappare in una sanzione». «Nell’arco di otto anni quelli che hanno perso la poltrona sono stati soltanto lo 0,065 per cento».
Questo nonostante vi sia una specifica legge sulla responsabilità civile dei magistrati, modificata rispetto alla vecchia norma del 1988 (legge Vassalli) [7]. Secondo la legge i giudici sono chiamati a risarcire il danno allo Stato (che nel frattempo ha rimborsato il danneggiato) nei soli casi di dolo o colpa grave. I casi di errore per negligenza, anche grave, non sono sanzionabili.
Le cose non sono diverse negli altri Paesi. Il giudice non è soggetto alle regole di responsabilità civile per i danni cagionati da errori nell’esercizio delle proprie funzioni. Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Canada e Israele vige l’immunità assoluta.
In Germania vi è una limitata responsabilità civile a meno non vi siano ipotesi di reato. In Paesi quali la Francia, i Paesi Bassi e la Svizzera vi è la normale esclusione della responsabilità diretta. C’è una bassa possibilità di rivalsa dello Stato nei confronti del giudice [8]. Negli ordinamenti di common law, in generale, prevale la teoria dell’assoluta irresponsabilità del giudice. Ai magistrati è assicurata l’immunità pressoché totale o, in ogni caso, è prevista una responsabilità patrimoniale solo in casi di gravità eccezionale.
Le controversie giudiziarie italiane legate agli accertamenti sul DNA avvenute negli ultimi anni sono note un po’ a tutti. Anche perché di ciascun episodio si parla a più riprese, in diversi contesti (vedi per esempio trasmissioni quali Quarto Grado). Certamente trasformare in spettacolo fatti reali di cronaca nera è censurabile. Ma ci sono anche risvolti positivi. Per esempio, sono stati proprio i media a mettere in evidenza le grandi falle nei laboratori degli Stati Uniti.
Credo quindi che, tutto sommato, sia da guardare con un certo favore l’interessamento dei mezzi di comunicazione all’operato degli esperti forensi. In qualche modo gli scienziati sono stimolati a dare sempre il meglio nelle loro prestazioni professionali. La gogna mediatica è lì pronta a esporli al pubblico ludibrio. C’è però anche il rischio fondato di non riuscire più ad accettare i propri limiti. Si può tendere a privilegiare invece i meccanismi inconsapevoli che tendono a sottrarsi a rivalutazioni critiche del nostro operato.
[1] People v. Castro. 545 NYS 2d 985, 1989.
[2] P. Fattorini et al., False Results in the HLA-DQα Typing: Two Cases Reported. 16th Congress of the International Society for Forensic Haemogenetics Santiago de Compostela, 12–16 September 1995, in Advanced in Forensic Haemogenetics (1996)6, 272-274.
[3] D. Agin, Junk Science: How Politicians, Corporations, and Other Hucksters Betray Us, 2006.
[4] U. Ricci, Limiti e aspettative della genetica forense, in Scienza e processo penale. Nuove frontiere e vecchi pregiudizi, a cura di C. Conti, Giuffrè, Milano 2011, 247-262; U. Ricci et al., La prova del DNA per la ricerca della verità. Aspetti giuridici, biologici e probabilistici, Giuffrè, Milano 2006, 484-485.
[5] http://www.innocenceproject.org
[6] M. Tortorella, Quanto ci costa la «malagiustizia» in Italia, in Panorama 15-012015; http://www.panorama.it/news/in-giustizia/quanto-costa-mala-giustizia-italia (accesso verificato 23-04-2016).
[7] Legge 27-02-2015, n. 18 (G.U. n. 52 del 04-03-2015) di riforma della legge 13-04-1988, n. 117, Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.
[8] Cf. G. Gianna, Responsabilità civile del Magistrato: un’analisi comparativa, in http://www.leggioggi.it/2012/02/06/responsabilita-civile-del-magistrato-unanalisi-comparativa (accesso verificato 6-6-2016); cf. anche la raccomandazione della Carta europea sullo statuto dei giudici, approvata a Strasburgo dal Consiglio d’Europa, 8-10 luglio 1998.