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2.2 Le caratteristiche della prova

“Cerchiamo inconsciamente tutti gli indizi che confermino l’impressione iniziale
e scartiamo tutti quelli che la contraddicono.”

Matteo Rampin

La prova ha lo scopo di fornire al giudice gli elementi di conoscenza necessari a formulare il giudizio. Ne ho parlato qui. E quindi si potrebbe dire che la sua funzione essenziale consiste nel controllare e verificare ipotesi[1]. In alternativa si potrebbe definire la prova come lo strumento necessario, nel processo, per rimuovere l’incertezza che caratterizza gli enunciati sui fatti rilevanti per la decisione. Il metodo razionale impiegato per conseguire decisioni veritiere intorno a questi fatti, dimostrandone l’esistenza nel passato. A parte casi particolari, però, quali per esempio una ripresa video che mostri esattamente la dinamica completa con l’identificazione certa degli attori, spesso la prova si limita a dimostrare solo una parte del fatto stesso.

La prova, un termine da interpretare

Il termine prova non esiste come definizione nel codice di procedura penale, ma la parola può assumere almeno quattro significati diversi[2]:

Fonte di prova: si intende tutto ciò che è idoneo a fornire risultati apprezzabili per la decisione (persone, cose e luoghi; art. 65 c.p.p.). La ricerca delle fonti di prova spetta, a seconda delle fasi, al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria, al difensore. Come si deduce dal termine stesso, la fonte di prova è ciò che fornisce materialmente la prova. Tipica fonte di prova è la persona informata sui fatti che nel dibattimento prende il ruolo e la definizione di «testimone». Quindi, sia la polizia giudiziaria che l’analista non raccolgono prove, ma fonti di prova. Ciò vale a prescindere dalla robustezza dei dati tecnico-scientifici ottenuti in laboratorio. Dalla solidità delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, dalla solidità degli elementi raccolti. La prova si forma solo attraverso le regole di trasferimento al giudice delle informazioni, regole diverse a seconda del rito processuale scelto: ordinario, abbreviato, patteggiamento.

Mezzo di prova: è lo strumento con cui si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione, per esempio la testimonianza (art. 194 ss. c.p.p.). Così per esempio è mezzo di prova il racconto del testimone (fonte di prova). E’ il veicolo con il quale l’informazione (elemento di prova) posseduta dal soggetto entra nel dibattimento e diventa patrimonio delle parti processuali (che magari già ne conoscono il contenuto per aver letto i verbali delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dalla persona informata sui fatti) e soprattutto del giudice o del collegio giudicante, che invece prima di quel momento non hanno e non devono avere alcuna conoscenza delle informazioni che il testimone possiede.

Elemento di prova: è l’informazione che si ricava dalla fonte di prova, quella che entra nei verbali del processo. Quelle che vengono raccolte nella fase delle indagini preliminari non sono dunque delle prove. E infatti il codice usa termini diversi, come sommarie informazioni, cose o tracce pertinenti al reato, tracce, cose e luoghi, accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose, ecc. Solo in un secondo tempo, attraverso l’acquisizione al dibattimento nelle forme previste dal codice di procedura penale, le fonti potranno eventualmente trasformarsi in elementi di prova.

Risultato probatorio: è la valutazione del giudice sull’elemento di prova. L’insieme degli elementi di prova che abbiano avuto regolare ingresso nel fascicolo del giudice servono a formare il convincimento dell’organo giudicante in merito alla colpevolezza o innocenza dell’imputato. Solo le prove assunte secondo le regole dettate dal codice possono essere usate per la decisione.

La prova

A dire il vero, sarebbe opportuno parlare solo di «prove sulla colpevolezza». In virtù del principio di innocenza «oltre ogni ragionevole dubbio» della colpevolezza, l’imputato dovrebbe essere assolto. La prova difensiva ha teoricamente importanza nulla. In un sistema perfetto, se le prove d’accusa fossero genuine e tali da dimostrare la responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, la prova a discarico non potrebbe esistere.

Lo spazio per le prove difensive si apre, invece, proprio perché il confine del ragionevole dubbio è mobile sulla base di considerazioni estranee alla ricostruzione dei fatti, quest’ultima spesso parziale e confutabile. Ogni avvocato conosce il principio del «poca prova, poca pena».

Prova e indizio.

Con il termine «prova critica» si fa riferimento a una circostanza certa dalla quale, attraverso una massima di scienza o esperienza, si deduce logicamente una conclusione circa la sussistenza o insussistenza di un fatto oggetto di accertamento processuale. L’impronta digitale del sospettato sul manico del coltello usato per uccidere è prova diretta del fatto che il sospettato abbia toccato l’arma. Non che l’abbia usata per il delitto. Saranno altri elementi, insieme a questo, interpretati secondo le massime di scienza ed esperienza, a far sì che il crimine possa essere attribuito o meno all’imputato.

Nel processo penale l’indizio è considerato uno dei limiti al principio generale previsto dall’art. 192 c.p.p., comma 1. Secondo questo il giudice è libero nella valutazione delle prove: per l’utilizzazione degli indizi al fine di provare un fatto è richiesto infatti che gli indizi siano plurimi, gravi, precisi e concordanti. Tale principio è mutuato da quanto previsto dall’art. 2729 c.c., in tema di presunzioni semplici.

Il carattere di gravità dell’indizio costituisce la misura della capacità dimostrativa dello stesso Ovvero l’elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto da provare. La precisione designa l’idoneità dell’indizio a far desumere il fatto non conosciuto. L’indizio è tanto più preciso quanto meno è equivoco. Nel senso che è maggiormente preciso l’indizio che consente un ristretto numero di interpretazioni tra le quali sia inclusa quella del fatto da provare.

La concordanza indica poi la convergenza verso l’identico risultato. Così da fare in modo che le interazioni riscontrabili tra una pluralità di indizi – i quali pur se gravi e precisi, da soli sarebbero insufficienti per giungere a una determinata conclusione – acquistino il carattere dell’univocità nella direzione del fatto da provare.


[1] F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, Milano 1993.

[2] P. Tonini, Manuale di Procedura penale, Giuffrè, Milano 2015.