Tra le funzioni principali della polizia giudiziaria, disciplinate dall’art. 55 c.p.p., vi è quella di «compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale».
Anche dopo la comunicazione della notizia di reato essa continua a svolgere le proprie funzioni, indicate nell’art. 55, raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole (art. 348 c.p.p).
Il codice prevede che l’intervento della polizia giudiziaria sui luoghi e le cose sia soprattutto di tipo conservativo prima dell’intervento del pubblico ministero (art. 354 c.p.p., comma 1). Nella pratica tuttavia, salvo casi di particolare gravità, sarà ben difficile che l’Autorità Giudiziaria intervenga sul luogo del reato. Circostanza ovviamente ragionevole considerando l’enorme numero di reati che quotidianamente avvengono sul territorio.

Così, dopo la commissione di un reato, la prima attività svolta dal personale che interviene sul posto sarà quella di avvisare tempestivamente l’autorità giudiziaria. Nel contempo la scena del delitto sarà preservata, circoscrivendo l’area interessata, così da conservare per quanto possibile intatto lo stato dei luoghi e delle cose. La possibilità che curiosi, passanti, personale medico non addestrato, ma anche investigatori sprovveduti, possano modificare la scena criminis è sempre altissima.
L’attività conservativa ha dunque lo scopo di consentire, da parte di personale specializzato, gli «accertamenti urgenti su luoghi, sulle cose e sulle persone». Con questa indicazione si fa riferimento, senza mai utilizzare questo termine, al sopralluogo giudiziario. E’ un atto di investigazione diretta che rientra tra i mezzi di ricerca della prova previsti e disciplinati al Libro III del codice penale. L’art. 354 c.p.p., comma 2, recita infatti:
Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose.
A questo proposito vi sono fondamentali differenze tra i rilievi tecnici e gli accertamenti tecnici.
I rilievi urgenti dell’art. 354 c.p.p. si riferiscono all’attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone e alla descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato.
Si tratta di atti non ripetibili tra cui rientra, per esempio, l’asportazione di un’impronta da un mobile, non hanno carattere valutativo, ma servono soltanto a garantire che le fonti di prova non siano disperse e quindi siano utilizzabili in futuro.
Gli accertamenti urgenti sono invece operazioni di tipo tecnico che presuppongono attività di tipo valutativo. Non sono vietate alla polizia giudiziaria. Debbono però essere assolutamente atti ripetibili, altrimenti sono riservati al pubblico ministero che li compirà tramite i propri consulenti ai sensi dell’art. 359 c.p.p. o nelle forme di garanzia ex art. 360 c.p.p. Per esempio, la valutazione dell’utilità di un’impronta è un accertamento ripetibile. Ma anche lo è l’esame del DNA su una parte di una traccia biologica che possa dirsi omogenea.
La polizia giudiziaria conserva quindi le attribuzioni circa le attività di propria iniziativa, compresa la funzione di ricerca e assicurazione delle fonti di prova. Richiamata dal comma 2 dell’art. 348 c.p.p. che quindi fa riferimento all’attività del sopralluogo e sul punto recita così. «La polizia giudiziaria procede alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi».
Si tratta di un’attività estremamente delicata e complessa certamente fondamentale, per la quale occorrono appropriate capacità tecniche oltre all’intuito del moderno investigatore. Specialmente in contesti ampi come appartamenti e spazi aperti, nei quali è frequente il disordine, non è infatti così facile individuare le possibili fonti di prova.
Gli investigatori ricorrono generalmente a proprio personale specializzato. Si tratta di persone che abbiano frequentato corsi di formazione specifici, comprensivi di training su casi reali. Secondo una metodologia standard si effettuano tutte quelle operazioni che servono alla ricerca, individuazione, raccolta e documentazione di tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’evento, per l’assicurazione delle fonti di prova.
A tal proposito esiste una capillare diffusione sul territorio di specialisti che appartengono tipicamente ai Carabinieri e alla Polizia di Stato, Ma non sono infrequenti anche realtà territoriali diverse. In alcune occasioni è anche possibile ricorrere a «persone idonee», le quali non possono rifiutare la loro opera (art. 348 c.p.p., comma 4).
È proprio grazie a questo punto del codice che è possibile l’instaurarsi di rapporti convenzionali tra Procure e istituti di alta specializzazione. Così come avvenuto nell’esperienza toscana tra AOU Careggi e Procura Generale della Toscana (vedi qui per la delibera regionale).
Comunque l’intervento degli «specialisti della scientifica» è nella pratica limitato ai reati dall’intensità più grave, non essendo anche qui possibile intervenire su tutti gli eventi criminosi.
I dati relativi alle città toscane richiamati in appendice sono molto alti, soprattutto relativamente al numero di reati contro il patrimonio denunciati, che a livello nazionale si attesta su circa 15 ogni 1.000 famiglie [1]. La presenza del difensore è consentita già dalla fase ispettiva condotta sempre dalla polizia giudiziaria, che ne vanta prerogativa assoluta. Il difensore può infatti assistere insieme ai propri consulenti al sopralluogo giudiziario, almeno teoricamente. E’ ben difficile che nella contemporaneità di un delitto l’avvocato difensore sia già investito da un mandato specifico da parte del proprio cliente.
La scuola di polizia scientifica nacque in Italia nel 1902 ad opera di Salvatore Ottolenghi con i primi tentativi di dare razionalità alle attività investigative. Nacque un metodo per la ricerca di tracce e la ricostruzione dell’episodio criminoso. Sono le origini che hanno portato oggi allo sviluppo di istituti di specializzazione dedicati nelle Forze dell’ordine. Qui si forgiano centinaia di professionisti, approfondendo i vari settori della criminalistica e le tecniche di sopralluogo.
L’assicurazione delle fonti di prova può avvenire anche successivamente all’intervento del pubblico ministero, il quale deve essere sempre informato delle attività di iniziativa intraprese dalla polizia giudiziaria (art. 348 c.p.p., comma 3). Tuttavia, sopralluoghi che avvengano in più sessioni temporali debbono garantire che la scena del crimine non venga alterata dall’accesso di altre persone, il che avviene mediante il sequestro dei luoghi da parte dell’autorità giudiziaria.
Vi sono vari aspetti da considerare riguardo ai possibili scenari e alla tipologia di tracce biologiche rinvenute durante i sopralluoghi. Già da qui l’euristica e i tentativi di giungere frettolosamente a conclusioni, accedendo prevalentemente o soltanto al Sistema 1 per le valutazioni di un fatto, può generare gravi errori interpretativi.
In linea generale la sensibilità delle tecniche analitiche attuali determina che molte delle tracce siano costituite da misture, contenenti quindi campioni biologici di più individui. Non necessariamente questi devono aver contribuito nello stesso momento e con il medesimo tipo di materiale, né con la stessa intensità, alla formazione delle tracce. Cosa che impone accortezza nelle associazioni finali e nelle ricostruzioni delle dinamiche.
Una traccia mista identificata come contenente sangue umano e formata dal contributo di due persone, non indica necessariamente che entrambe abbiano sanguinato. Gli scenari alternativi potrebbero essere più complessi. Valutazioni intuitive non corroborate da evidenze sperimentali tendono a fornire ricostruzioni diverse dall’effettiva realtà che ha condotto alla formazione della traccia. Per esempio, il reperto potrebbe contenere sangue di una persona mischiato a saliva di un altro individuo, magari depositati in tempi diversi.
Migliori e sofisticate sono le tecniche analitiche, maggiori cautele sono richieste nella conduzione delle attività di sopralluogo. Così l’uso di dispositivi di protezione individuale, quali copri-calzari, tute monouso, mascherine, guanti, è divenuto obbligatorio per evitare di introdurre contaminazioni da parte degli stessi operatori. Oggi sono possibili analisi anche su oggetti solo impugnati o comunque che siano stati a contatto con una persona, per cui è essenziale il massimo scrupolo per evitare di inquinare la scena dei fatti. Le stesse regole valgono poi per tutti coloro che abbiano a che fare con l’attività di rilievo delle tracce.
Quello del sopralluogo giudiziario è comunque un momento cardine delle indagini preliminari e delle attività investigative, considerato a ragione l’attività che più di ogni altra permette l’individuazione del colpevole.
Per le esperienze processuali degli ultimi anni si è posta sempre maggiore attenzione, perché particolarmente critica, alla fase del sopralluogo sulla scena del crimine. Fase difficilmente classificabile, perchè esiste una grande varietà del modo in cui si effettua il sopralluogo. Molti protocolli e varie linee guida in tutto il mondo sono in grado di fornire utilissime indicazioni. Ma nessuna di queste è in grado di essere, da sola, esaustiva. Le indicazioni tratte dai pochi manuali in circolazione, pur corrette, sono necessariamente di carattere generale.

L’individuazione di fonti di prova non è limitata ai rilievi compiuti nell’immediatezza dei fatti. L’attento esame del cadavere in sede autoptica, effettuato dai medici legali e dagli anatomo-patologi, può consentire di rilevare degli elementi nuovi. Che erano sfuggiti all’osservazione sul luogo del delitto. Per esempio, possono essere individuate tracce ematiche in parti nascoste di un vestito, peli o frammenti di pelle sotto le unghie, ecc.
È indubbio che capacità innate quali l’intuito, lo spirito d’osservazione, la scrupolosità, siano rilevanti nell’eseguire un sopralluogo. Ma è altrettanto indubbio che l’ufficiale di P.G. nell’esecuzione delle attività operative sulla scena del delitto deve applicare un metodo che valorizzi ulteriormente tali capacità. Questo alla luce delle più recenti innovazioni tecnico-scientifiche e delle normative procedurali in vigore. Un metodo, cioè, che metta tutti gli operatori di P.G. (anche quelli non dotati di specifiche capacità) in condizione di agire con criteri logico-scientifici che consentano di operare correttamente. Che aiuti a «individuare» e interpretare le tracce di reato attribuendo loro la giusta valenza probatoria. Che contribuisca a formare la «coscienza investigativa» favorendo la creazione di un «ambito mentale» che sia di ausilio per un’adeguata strategia investigativa al fine di ottimizzare i risultati.
Dal punto di vista delle norme internazionali il sopralluogo è configurato come un’attività di ispezione e viene quindi a far parte della norma generale ISO/IEC 17020:2012. E’ la Conformity assessment – Requirements for the operation of various types of bodies performing inspection, che regolamenta l’attività degli organismi di ispezione di ogni tipo.
La nuova emissione 2012 è entrata in vigore dal marzo 2015. Si tratta di una norma che costituisce il riferimento per l’accreditamento soprattutto per organismi di ispezione su prodotti di tipo manifatturiero, processi, sistemi. Ma anche di organismi che effettuano controlli tecnici su progetti e loro realizzazione di opere nel settore delle costruzioni.
In seguito a una serie di accordi l’organismo internazionale di accreditamento ILAC (http://ilac.org/) ha emesso il documento ILAC-G19:06/2022 denominato Modules in a Forensic Science Process [2], integrando così diverse norme e linee guida emessi da vari organismi europei per la Crime Scene Investigation.
L’ILAC-G19:06/2022 è un documento di 52 pagine che raccoglie una serie di indicazioni e suggerimenti descrivendo le attività criminalistiche come un processo dinamico. Qui sono individuate linee guida comuni a tutti i processi forensi e moduli che possono trovare applicazioni indipendenti o all’interno delle norme ISO/IEC 17025 o ISO/IEC 17020. Una tabella di correlazione permette di verificare i percorsi comuni.
Nello spirito delle norme internazionali e quindi anche di quelle dei laboratori di prova ISO/IEC 17025, la norma è ispirata alla razionalità e al pragmatismo.
Quindi si troveranno riferimenti alla competenza degli esperti, ai metodi di campionamento, alle strategie investigative, ai contratti con il committente, tra i quali è compreso lo stesso sistema giudiziario.
A dimostrazione di come sia effettivamente ben difficile tracciare un confine netto tra il mondo dell’investigazione forense, le attività di sopralluogo e quelle di analisi di laboratorio. Vi fa riferimento la norma ISO/ IEC 17025, sono viste come parte di un percorso condiviso e incardinate da molti aspetti critici comuni. Così, per esempio, esami speditivi possono essere eseguiti sulla scena del crimine (per es. Combur Test per le tracce di sangue) e ispezioni di un reperto possono essere effettuate nel laboratorio, attraverso documentazioni descrittive e fotografiche.
Credo che la lettura di questo documento e l’adesione alle sue indicazioni facilitino tutti gli attori delle indagini investigative in una gestione più razionale delle investigazioni. Nella direzione dell’adesione a una metodologia di lavoro robusta e affidabile.
La repertazione
Il sequestro probatorio a opera della polizia giudiziaria avviene durante le indagini preliminari. Si avrà cura che le tracce o le cose pertinenti al reato siano conservate fino alla convalida dell’atto da parte del pubblico ministero. Quest’ultimo del resto può operare in maniera autonoma il sequestro del corpo del reato necessario per l’accertamento dei fatti (art. 253 c.p.p.), ma si tratta di una fattispecie meno frequente.
Il sequestro probatorio è comunemente conosciuto con il termine «repertazione» e l’oggetto sequestrato viene di conseguenza indicato dal termine «reperto». Consiste in quelle operazioni mediante le quali gli investigatori raccolgono tutti gli oggetti che potranno costituire fonte di prova. Usando accortezze e metodologie che non ne alterino le caratteristiche evitando nel contempo la contaminazione con altri oggetti e da parte del personale operante.
La repertazione di tracce di natura biologica deve essere integrata nelle attività del sopralluogo. Effettuata con particolari cautele, in base alla possibilità di ricavare informazioni da quantità esigue delle stesse, alla variabilità dei substrati e delle sostanze biologiche repertate [1].
L’aspetto delle contaminazioni durante il sopralluogo mette in evidenza una particolare caratteristica del reperto biologico. Quella di poterlo trasportare. Fenomeno di estrema importanza che in alcune circostanze è stato utilizzato per sviare gli investigatori.
Come indicazioni generali per una corretta repertazione, occorre quindi operare nelle migliori condizioni di sterilità possibile. L’uso di dispositivi di protezione primaria, come mascherine e guanti in lattice, utilizzando pinzette monouso o sterili e contenitori finali nuovi e dedicati allo scopo. Recentemente l’ente di certificazione internazionale ha emesso una norma specifica, la ISO 18385:2016. E’ denominata Minimizing the risk of human DNA contamination in products used to collect, store and analyze biological material for forensic purposes. Disciplina i criteri per la produzione di prodotti usati per la repertazione, la conservazione e l’analisi dei materiali biologici usati in genetica forense.
La norma copre quindi non solo i materiali usati per le repertazioni, ma anche quelli usati per le analisi di laboratorio, come tubi e provette monouso, esclusi i test per microbiologia. Diverse ditte commercializzano buste di sicurezza antieffrazione di vario materiale, personalizzabili con il logo dell’azienda, ormai indispensabili per la custodia dei reperti. È fondamentale che i materiali siano esenti da DNA estraneo (DNA-free), cosa evidentemente non scontata come insegna l’episodio del fantasma di Heilbronn. La ditta coinvolta, per esempio, chiamata in giudizio, dichiarò che il committente aveva richiesto tamponi sterili, non esenti da DNA.
Naturalmente l’emissione di una norma ISO specifica indica quella che sarà l’unica direzione percorribile in futuro, cioè l’impiego esclusivo di materiale dedicato, indicato appunto dalla norma internazionale.
È poi particolarmente importante preservare il trasferimento di tracce da un reperto a un altro (la cosiddetta cross-contamination), particolarmente insidiosa per i reperti biologici.
Per «trasferimento primario» si intende la deposizione di una sostanza per passaggio diretto da una sorgente biologica, quindi un sanguinamento sul pavimento, tracce di muco su un fazzoletto, ecc. Per «trasferimento secondario», invece, s’intende il passaggio di una sostanza biologica, precedentemente depositata per trasferimento primario, su un qualunque altro oggetto o persona. Se la persona ferita tocca con la mano sporca di sangue un oggetto vi trasferirà il proprio sangue e così se toccherà un altro individuo. Si tratta di un deposito secondario. Sostanzialmente quindi il DNA di una persona può essere rinvenuto senza che vi sia alcun nesso di causalità con l’evento. Qualora le quantità siano risibili e costituite magari da cellule di contatto, è probabile avere a che fare con questo genere di reperti.
È assolutamente indispensabile evitare che tra i reperti avvengano dei passaggi di materiale biologico. I trasferimenti secondari involontari, modificando la sede di deposizione di un campione, alterano lo stato dei fatti. Possono determinare valutazioni completamente errate da parte di coloro che si troveranno a tentare associazioni, ipotesi di dinamiche e quindi ricostruzioni del fatto storico.
I reperti sequestrati nel corso del sopralluogo dovrebbero essere custoditi in appositi ambienti, per preservarli dai processi degradativi a cui inevitabilmente i materiali biologici vanno incontro. La custodia dei reperti è molto spesso affidata agli organi di polizia giudiziaria che ne hanno curato il sequestro. Come regola generale, dopo la fase di repertazione i reperti contenenti tracce biologiche dovrebbero essere lasciati asciugare in stanze apposite, se umidi, prima di inserirli all’interno dei contenitori. Una fase che è indispensabile per evitare la formazione di muffe la cui presenza può rendere inutilizzabili le tecniche di analisi del DNA.
Finché si parla di piccoli reperti questa operazione non comporta difficoltà eccessive. Basta predisporre nel proprio ufficio una zona isolata e lasciar trascorrere qualche ora, perché i reperti siano pronti per il confezionamento. Quando vi siano materiali consistenti, come vestiti imbrattati di sangue, bagnati, lenzuola con macchie, ecc., il problema principale è trovare un ambiente idoneo all’asciugatura. Cosa che può davvero essere un problema là dove gli ambienti sono in genere dedicati ad altro uso.
Per queste operazioni è indispensabile un locale dedicato e probabilmente gli istituti di medicina legale sono i luoghi migliori dove poter compiere tali operazioni. Considerato tra l’altro che spesso si ha a che fare con eventi che hanno cagionato una morte e quindi è certamente coinvolto il medico legale per i rilievi autoptici.
Altra accortezza generale è quella di prelevare, all’atto del sopralluogo, anche dei campioni del substrato sul quale sono presenti le tracce oggetto della repertazione. In questo modo si potranno eventualmente determinare, attraverso esami su questi «controlli negativi», i livelli di contaminazione ambientale[1].
Una volta predisposto il reperto, questo come si diceva sarà inserito in busta di sicurezza numerata e sigillata, dando atto in un apposito verbale del contenuto, della data di preparazione, del nome dell’operatore.
Solo quando il giudice o il pubblico ministero disporranno un accertamento tecnico che il codice di procedura penale regolamenta dettagliatamente nelle forme della perizia (artt. 220-233 c.p.p.) o della consulenza (artt. 359, 360 c.p.p.; 116 e 117 cod. att.), oppure quando il giudice delle indagini preliminari avvierà un incidente probatorio (artt. 392-404 c.p.p.), i materiali verranno consegnati all’esperto forense, con uno specifico quesito, che potrà riguardare la comparazione dei profili genetici con uno o più sospettati, la ricerca in un database o genericamente la determinazione del profilo del DNA per successive comparazioni.
Una particolare raccomandazione riguarda la raccolta dei campioni abbandonati, cioè di materiali sui quali possano trovarsi tracce di un soggetto da cui si vuol accertare il profilo genetico. L’esame di questi reperti non è vietato dalla legge, come ricordato in precedenza (cf. per esempio Corte di Cassazione penale, sentenza del 5-12-2013 n. 48907).
È però fondamentale essere assolutamente certi che il materiale consegnato al laboratorio contenga proprio il DNA del soggetto del quale si vuol stabilire il profilo. Fraintendimenti in questa operazione porteranno a clamorosi errori investigativi, con ripercussioni gravissime sulla vita delle persone.
Impossibile poi fare un elenco delle tipologie dei reperti di interesse in genetica forense, idonei per la determinazione del profilo genetico.
Il quantitativo minimo di traccia utile per la determinazione di un profilo genetico è piuttosto variabile, perché dipende dal tipo di tessuto e dalla sua consistenza. Dipende poi molto dal suo stato di degradazione e se ad essa sono mescolate sostanze inquinanti, i cosiddetti inibitori. Teoricamente anche una singola cellula nucleata è sufficiente per la determinazione di un profilo genetico, ma nella pratica ne serve un po’ di più. Comunque si possono ottenere profili genetici di buona qualità a partire anche da macchioline di sangue di pochi millimetri, dalla saliva lasciata su una tazzina da caffè o da una singola formazione pilifera.
La conservazione
I reperti contenenti tracce biologiche richiedono particolari precauzioni nelle fasi successive alla repertazione, quelle appunto della loro conservazione. Quanto si conserva un campione biologico? Dopo quanto tempo è ancora possibile effettuare degli accertamenti sulla natura di un campione e sul DNA?
Molto dipende proprio dalle modalità con cui il reperto viene conservato.
I processi di degradazione portano rapidamente alla distruzione delle componenti enzimatiche e proteiche cellulari. Tuttavia, se la traccia è asciugata, dopo la deposizione molti processi si arrestano, perché gli enzimi non lavorano in mezzi non acquosi. È quindi possibile per esempio identificare attività amilasica su tracce di saliva deposte anche molti anni prima, ma conservate in condizioni prive di umidità e calore [6].
Per quanto riguarda il DNA la sua distruzione procede prevalentemente ad opera di enzimi, endonucleasi, che operano un po’ come delle forbici molecolari, nel senso che tagliano la lunga molecola in più punti riducendola a frammenti progressivamente più corti. I processi di degradazione intervengono poi anche per azione di agenti chimico-fisici, come denaturanti, calore, ecc. Come risultato, maggiore è la quantità di frammentazioni subite, minore la possibilità di ottenere profili genetici utilizzabili attraverso le tecniche di biologia molecolare.
L’entità di questi processi varia di intensità, ma in generale si può dire che le tracce biologiche sono:
- sensibili all’azione di fattori ambientali come batteri e muffe, che possono agire in vari modi deteriorando la traccia;
- sensibili all’azione di fattori fisici, tra cui il calore ma soprattutto l’u-midità, perché questa può portare all’idrolisi del DNA.
Altre volte invece, anche senza particolari precauzioni, vi è la possibilità di ottenere risultati eccellenti nell’esame di reperti, anche dopo un lungo periodo nel quale i materiali non sono stati conservati con particolari precauzioni.
Tra le funzioni della polizia giudiziaria, nell’attività di repertazione è compresa anche quella di conservazione delle fonti di prova. Questa attività, dunque, ricade nelle responsabilità degli inquirenti che debbono adempiervi in modo adeguato. Tra le dotazioni dei centri adibiti alla conservazione dei reperti biologici non dovrebbe mai mancare un frigorifero di buona qualità, per il quale sia garantita una continuità elettrica per evitare sbrinamenti o scongelamenti incontrollati.
La catena di custodia
Come si è visto, l’attività di tipo investigativo e ispettivo nel sopralluogo porta ad acquisire fonti di prova che confluiscono, per tramite degli investigatori, al laboratorio forense per gli accertamenti richiesti dall’autorità giudiziaria. Tuttavia questa fase, apparentemente banale, non è priva di criticità.
Le fonti di prova vengono elencate nei rilievi descrittivi, classificate e poi chiuse in contenitori idonei, redigendo un verbale inviato poi all’autorità giudiziaria la quale, in alcuni casi, provvede al sequestro (art. 354 c.p.p.). È fondamentale poter assicurare che effettivamente ciò che è stato acquisito sul luogo del fatto, quindi i reperti da esaminare, siano consegnati all’esperto, integri, per le analisi.
La norma ILAC-G19:02/202 indica la necessità che le unità forensi siano in grado di dimostrare il mantenimento della catena di custodia.Il mantenimento della catena di custodia viene garantito attraverso due condizioni fondamentali. I reperti devono essere preparati dalla polizia giudiziaria in confezionamenti sigillati, con all’esterno la descrizione del contenuto, la cui apertura sia inviolabile e protetti quindi con dispositivi antimanomissione.
Nella pratica non tutti gli uffici dispongono di buste di sicurezza idonee ed è frequente che i reperti vengano inseriti in contenitori di fortuna che, come si è detto, potrebbero essere ritenuti in linea di massima sufficienti. La percezione dell’integrità degli oggetti da sottoporre a prova non sarà però la stessa e in sede di valutazione probatoria non si potranno escludere contestazioni riguardo alle modalità di custodia di questi reperti. «Si trattava di contenitori DNA-free?», «Il reperto si è danneggiato in questo contenitore?» sono solo alcune domande che legittimamente potranno essere sollevate in sede di valutazione della prova. È quindi necessario operare nelle condizioni che garantiscano la massima sicurezza, anche dal punto di vista formale.
Il problema di poter garantire la catena di custodia non riguarda solo l’ambito del sopralluogo e la materia penale, ma interessa una platea certamente più vasta di professionisti. In ambito ospedaliero, per esempio, lo scambio di un prelievo tra pazienti può portare al rischio clinico di dare risposte diagnostiche errate a due persone, con conseguenze nefaste per entrambe.
Nelle analisi antidoping invertire due campioni può significare la fine della carriera di un atleta, lasciando contemporaneamente nelle competizioni un disonesto. Nel settore dell’anatomia patologica, ambito che ha una certa attinenza con quello medico legale, la conservazione dei campioni citologici, bioptici e chirurgici diventa prioritaria al fine di garantire una diagnosi corretta e completa, insieme alla loro custodia nel tempo per assolvere a eventuali richieste del paziente che necessita del preparato per ulteriori analisi o esigenze cliniche.
La seconda condizione fondamentale è quella della verbalizzazione dei vari passaggi ai quali va incontro il corpo di reato o il reperto. Anche in questo caso vi sono diverse modalità per garantire la tracciabilità dei passaggi, mediante verbali formali o con modulistiche apposite. Per esempio, nel percorso del Centro antiviolenza dell’AOU Careggi ogni singolo passaggio dei campioni prelevati durante la visita a una persona abusata è registrato con un modulo nel quale chi prende in carico il materiale appone la propria firma. Copia del modulo viene restituita a chi ha portato il materiale, fungendo così da ricevuta di consegna.
Occorre fare molta attenzione a che i dati di chi consegna e riceve il plico siano chiaramente leggibili e identificabili, per garantire di risalire a posteriori ai vari passaggi effettuati. Si devono sempre riportare a stampatello i dati dei destinatari. Dopo mesi dalla ricezione di un reperto è praticamente impossibile ricordare chi lo ha consegnato!
[1] Dati ISTAT nel periodo 2004-2011. Lo stesso ente riporta un andamento pressoché costante per quel periodo del numero di borseggi (circa 6 ogni 1000 famiglie) e rapine (circa 1,8 ogni 1000 famiglie); www.istat.it/it/archivio/reati.
[2] A revised version of ILAC G19 was published on the ILAC website on the 29th June 2022
https://ilac.org/latest_ilac_news/revised-ilac-g19-document-published/
[3] S. Zoppis et al., DNA fingerprinting secondary transfer from different skin areas: Morphological and genetic studies, in Forensic Sci Int Genet (2014)11, 137-343.
[4] In rete si trova ormai di tutto, anche molto ben fatto, riguardo alle modalità di repertazione, in particolare dei reperti biologici; cf. per esempio http://www.crime-scene-investigator. net/collect.html; volendo anche U. Ricci, DNA e crimine, Laurus-Robuffo, Roma 2001, 23-31.
[5] M.H. Toothman et al., Characterization of human DNA in environmental samples, in Forensic Sci Int (2008)10, 7-15.
[6] G. Iadecola, Medicina legale per l’attività di polizia giudiziaria, Laurus-Robuffo, Roma 1992.