«Lo studio dei caratteri m’interessa enormemente» replicò serio il mio amico.
Agatha Christie
«Non ci si può occupare del crimine senza tener conto della psicologia.
Non è tanto il delitto in se stesso che interessa, quanto ciò che si nasconde dietro. Mi segue, Hastings?».
Nel suo continuo desiderio di conoscenze l’uomo si è confrontato anche con la ricerca dell’origine del «male».
Nel corso della storia si è cercato di dare una risposta a questa domanda anche nella genetica umana, confidando nell’esistenza di un cromosoma o di un gene killer capace di condizionare il comportamento nella direzione di un’irrefrenabile violenza. Erano gli albori della nascita della genetica del comportamento.
Per anni si è attribuita alla presenza di un cromosoma Y sovranumerario la tendenza al comportamento violento di molti soggetti (addirittura, si è sostenuto che questo particolare cariotipo XYY fosse presente in criminali di spicco, come Adolf Hitler). Da un’analisi epidemiologica risultò che gli uomini dotati di questo cromosoma in più, oltre ad essere particolarmente violenti, erano più alti del normale e avevano un’intelligenza inferiore alla media. Lo studio era stato però condotto su una popolazione carceraria e maniacale e quindi si era verificato un errore di campionamento, avendo in seguito la verifica dimostrato che tale assetto genetico è distribui to in modo omogeneo nella popolazione. Un bias d’incorniciamento ben descritto dal seguente brano [1].

Come risultati che non hanno alcun significato si possano produrre in modo puramente casuale – in base a un numero limitato di casi – si può dimostrare facilmente e con poca spesa. Basta buttare una moneta. Ogni quante volte uscirà testa? La metà naturalmente, lo sanno tutti. Davvero? Vediamo. Ho appena provato a buttare una moneta dieci volte e ho ottenuto otto volte testa, il che dimostra che esce testa nell’ottanta per cento dei casi […]. Proviamo ancora. Possiamo ottenere un risultato cinquanta e cinquanta, ma è improbabile. Ogni prova ha un’elevata possibilità di essere lontana dalla parità esatta di testa e croce. Ma se la pazienza dura per mille lanci di moneta si può essere quasi (benché non del tutto) certi di arrivare a un risultato molto vicino alla metà – cioè un dato che dimostra la reale probabilità.
Solo quando si tratta di grandi numeri la legge delle probabilità è una definizione utile del prevedibile. Quanti sono abbastanza? Anche questa è una difficoltà. Dipende tra l’altro da quanto sia grande e diversa la popolazione che studiamo per campionamento. E talvolta il numero del campione non è quello che sembra.
Oggi si preferisce parlare di fattori predisponenti con probabili correlazioni tra particolari fattori genetici e ambientali la cui definizione è però difficile. Si tratta infatti di fenotipi complessi che non possono essere ricondotti al comportamento di un singolo gene, ma a quello di molti, taluni certamente sconosciuti, e che comunque portano a uno sviluppo non determinabile in modo quantitativo. Di fatto non esiste il gene della criminalità.
Nonostante questa realtà, alcuni risultati di indagini neuroscientifiche sono stati introdotti nelle valutazioni di perizie psichiatriche, a rafforzare valutazioni più generali riguardo al comportamento di alcuni imputati e sono stati valutati dai giudici ai fini della determinazione della pena [2]. Vi è stata una notevole attenzione dei giudici alle risultanze delle analisi almeno in due casi diversi, poi transitate nelle motivazioni delle sentenze che hanno di fatto accordato una notevole fiducia a queste metodologie di indagine scientifica. La genetica del comportamento si affaccia dunque nelle aule di giustizia.
Corte d’Assise d’Appello di Trieste n. 5/2009 del 18-09-2009
Nel 2007 un cittadino algerino, Abdelmalek Bayout, uccise in modo efferato un giovane colombiano che lo aveva apostrofato quale «omosessuale», perché aveva gli occhi truccati con il kajal utilizzato per motivi tradizionali e religiosi. L’uomo era stato condannato a nove anni in primo grado, ma nell’appello gli fu accordata una riduzione di pena di dieci mesi, il massimo delle attenuanti, accogliendo i contenuti della perizia d’ufficio secondo la quale il colpevole sarebbe stato predisposto ad assumere comportamenti violenti a causa di una variante genetica.
In quel caso era stato effettuato l’esame del gene MAOA, localizzato sul cromosoma X, contenente un polimorfismo costituito da una ripetizione in tandem a numero variabile di una sequenza di 30 paia di basi (alleli 2, 3, 3.5, 4, 5, 6). Un tratto presente nel promotore del gene che codifica per la monoaminoossidasi [3]. Questo enzima è deputato al catabolismo cerebrale delle catecolamine. E’ dimostrato che gli alleli con 3 o 5 ripetizioni riducono l’efficienza dell’enzima, mentre quelli con 2, 3.5 e 4 ripetizioni mostrano un’attività più alta. Gli alleli a bassa attività 3 e 5 (chiamati MAOA-L) sono stati associati con un’incidenza significativamente maggiore di comportamento violento e aggressivo [4]. Era una prova dell’influenza della genetica del comportamento nelle azioni umane?
La svolta decisiva riguardo la supposta pericolosità del gene avvenne durante un meeting di antropologi in Florida, quando una giornalista coniò il nome di warrior gene (il gene del guerriero) per descrivere la variante genetica MAOA a bassa reattività. I periti associarono quindi la storia giovanile dell’imputato, che effettivamente aveva subito maltrattamenti in giovane età, con la presenza della variante genetica. Questa duplice condizione, unita ad alcuni studi di risonanza magnetica, valse a formare il convincimento della corte verso una diminuente della pena, accogliendo di fatto la tesi di una caratteristica genetica come parte di un quadro complessivo violento più generale.
Tribunale di Como, GIP, decisione 20-08-2011
Un altro esempio di genetica del comportamento si verificò nel seguente episodio. Nel 2009 Stefania Albertani uccise la sorella maggiore, per poi darle anche fuoco. Indiziata per il reato e tenuta sotto controllo dalla polizia, durante un diverbio con la madre tentò di strangolarla con una cintura. Il giudice per l’udienza preliminare riconobbe in questo caso, sulla base di una consulenza di parte, il vizio parziale di mente dell’imputata. Questo in base a una serie di esami, psichiatrici, neuroscientifici e genetici.
Gli esperti (gli stessi del caso precedente) sostennero il parziale vizio di mente basandosi su elettroencefalogrammi, risonanza magnetica, morfometria cerebrale e presenza di una serie di «alleli sfavorevoli». Questi avrebbero favorito l’insorgenza di comportamenti aggressivi (sulla base delle ricerche già citate nel caso precedente). Il giudice, accogliendo nella motivazione della sentenza questo innovativo approccio, ridusse la pena da trenta a venti anni di reclusione. Di questi almeno tre da trascorrere presso un istituto di ricovero e cura. In quel caso furono esaminati anche altre due altre porzioni genetiche oltre a MAOA: i geni COMT e SLC6A4.
COMT è coinvolto anch’esso nel metabolismo delle catecolamine ed è costituito da alleli con alta e bassa attività. In particolare quest’ultimo è associato alla variante in un singolo aminoacido (Val158Met) ed è stato associato con un maggior comportamento aggressivo. Questo sia in modelli animali che in pazienti psichiatrici e anche con una maggiore predisposizione ai disturbi d’ansia [5].
Il gene SLC6A4 codifica invece per il trasportatore della serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT). E’ un enzima che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, della sessualità e dell’appetito. La serotonina è coinvolta anche in numerosi disturbi neuropsichiatrici, come l’emicrania, il disturbo bipolare, il disturbo ossessivo-compulsivo. La molecola deputata al riassorbimento della 5-HT è il trasportatore della serotonina (5-HT transporter o 5-HTT). E’ noto un polimorfismo nella regione del promotore che influenza l’espressione del gene. Esistono vari alleli tra cui un allele L (long) di 16 ripetizioni, più efficiente rispetto all’allele S (short) di 14 ripetizioni. Questo è associato a una minore efficienza di trascrizione del promotore, pari al 30-40%, risultante in una ridotta espressione del gene [6]. Numerosi studi riportano un’associazione tra l’allele short e una maggiore predisposizione al comportamento antisociale violento e impulsivo [7].
Dopo questi due episodi, riportati tra l’altro con una certa enfasi da riviste come Nature [8], l’uso di perizie neuroscientifiche sempre più avanzate è dilagato. Tra il 2005 e il 2015 negli Usa si sono contate 1.585 sentenze con perizie neuroscientifiche o genetiche che cercavano di scagionare il colpevole. Naturalmente incolpando la morfologia del cervello o i geni degli imputati.
A riguardo vi è stata una netta presa di posizione della SIGU. La Società non riconosce una validità scientifica nell’utilizzo dei test genetici di suscettibilità per tratti comportamentali in qualunque ambito, e in particolar modo nell’ambito così complesso e delicato della genetica forense. Si ritiene che tali test siano non utili, non validi e scientificamente inadatti a raggiungere le finalità per le quali vengono eseguiti [9].
Direi che quindi, a dispetto delle sentenze citate, è chiaro che la genetica non può dare, fino a oggi, un contributo quantificabile alla comprensione della personalità e del comportamento. E’ ben lontana quindi da fornire elementi utili alla perizia psichiatrica che può essere ammessa dal giudice ai sensi dell’art. 220 c.p.p. Nessun contributo dunque della genetica per provare il vizio di mente dell’imputato. Nè per dimostrarne l’incapacità di intendere e volere al momento della commissione del reato [10].
[1] D. Huff, How to lie with statistics (ed. it.: Mentire con le statistiche, Monti & Ambrosini, Milano 2007, 63).
[2] S. Pellegrini – P. Pietrini, Siamo davvero liberi? Il comportamento tra geni e cervello, in Sistemi intelligenti (2010)22/2.
[3] S.Z. Sabol – S. Hu – D. Hamer, A functional polymorphism in the monoamine oxidase A gene promoter, in Hum Genet (1998)103, 273-279.
[4] Cf. G. Gerra et al., Analysis of monoamine oxidase A (MAO-A) promoter polymorphism in male heroindependent subjects: behavioural and personality correlates (2004)111, 611-621; G. Guo et al., The VNTR 2 repeat in MAOA and delinquent behavior in adolescence and young adulthood: associations and MAOA promoter activity, in Eur J Hum Genet (2008)16, 626-634.
[5] H.M. Lachman et al., Human catechol-O-methyltransferase pharmacogenetics: description of a functional polymorphism and its potential application to neuropsychiatric disorders, in Pharmacogenetics (1996)6, 243–250.
[6] K.P. Lesch et al., Association of anxiety-related traits with a polymorphism in the serotonin transporter gene regulatory region, in Science (1996)274, 1527-1531.
[7] B.C. Haberstick et al., Family-based association test of the 5HTTLPR and aggressive behavior in a general population sample of children, in Biol Psychiatry (2006)59, 836-843.
[8] E. Feresin, Lighter sentence for murderer with ‘bad genes, in Nature, 30 October 2009; http://www.nature.com/news/2009/091030/full/news.2009.1050.html (accesso verificato 4-04-2016).
[9] SIGU GdL Genetica Forense, Osservazioni sulla validità e utilità dei test genetici di suscettibilità del comportamento umano e violento in ambito forense: http://www.sigu.net/ show/attivita/5/1/genetici 30-12-2013 (accesso verificato 4-04-2016).
[10] A. Santosuosso – B. Bottalico, Neuroscienze e genetica comportamentale nel processo penale italiano. Casi e prospettive, in Rassegna Italiana di Criminologia (2013)1, 73-80.