Sono poche le persone che pensano, però tutte vogliono giudicare.
Federico il Grande
Lo scopo della determinazione dei profili genetici è quello di poterli confrontare: tra loro, con quello di sospettati o di consanguinei, in un database nazionale o internazionale; dipende dalle circostanze e dal quesito che il magistrato ha affidato al genetista forense. Ma quasi sempre si tratta di fare un confronto, perché si è più volte detto che il profilo genetico, in fondo, è ben poca cosa visto dalla prospettiva della genetica umana. Nessuna informazione riguardo a malattie, predisposizioni genetiche a contrarle, caratteristiche fenotipiche (con l’unica eccezione del genere di appartenenza), origine geografica.

La valutazione dei profili per l’identificazione è pertanto la fase finale che permette di ottenere i risultati dalla procedura analitica.
Il Rapporto di Prova riporta i risultati dell’analisi identificativa e traccia i profili genetici che ne costituiscono l’esito finale.
L’ideale potrebbe essere accreditare anche il giudizio all’interno di un Rapporto di Prova. Una delle più ambizione sfide per un labpratorio accreditato.
Comunque fondamentale che il genetista forense persegua le indicazioni del proprio codice deontologico, riportate nel sito dei Genetisti Forensi Italiani (Ge.F.I).
Le identificazioni personali
La fase del confronto e quella della valutazione dei risultati dell’accertamento costituiscono una parte essenziale, alla quale è necessario rivolgere la dovuta attenzione. Innanzitutto si deve riconoscere, come più volte sottolineato in questo testo, che nella legge nr. 85 del 30-06-2009 e nel regolamento attuativo il legislatore ha tenuto in debito conto le necessità di riservatezza nella gestione dei reperti e dei profili genetici.
All’alimentazione della Banca dati provvedono infatti gli operatori di polizia giudiziaria specificamente abilitati e incaricati del trattamento dei dati, in servizio presso i laboratori delle Forze di polizia e il Laboratorio centrale. Questi provvedono a inserire per via telematica i profili del DNA. Utilizzano il numero di riferimento (codice alfanumerico che individua il campione biologico e il reperto biologico), il codice ente (codice alfanumerico che identifica la Forza di polizia o l’istituzione di elevata specializzazione) e il codice laboratorio (codice alfanumerico che identifica il laboratorio che effettua la tipizzazione del profilo del DNA).
La decodifica del codice prelievo, invece, è effettuata da personale abilitato all’utilizzazione del sistema AFIS con modalità che consentono la tracciatura delle operazioni svolte. Da notare che a tali soggetti è vietato l’accesso al sistema LIMS dei laboratori, nonché alla Banca dati.
Per le attività dei laboratori, anche quelli diversi dalle Forze di polizia, l’utilizzo obbligatorio di un LIMS che genera automaticamente il «codice reperto biologico» (art. 2, lett. p reg. att.) e utilizzato nelle fasi di tipizzazione del profilo di DNA non consente l’identificazione diretta del reperto biologico. Questa opportunità dovrebbe servire a rendere il processo analitico obiettivo, privando della componente emozionale, propria del Sistema 1, che non aiuta certo l’esecuzione di una serena attività di laboratorio, come mi capitò nell’episodio dell’uccisione di Rossana D’Aniello, di cui ho parlato più volte e che ritroverete citato in questo sito.
In quel caso gli articoli dei giornali, la radio, i telegiornali, le testimonianze dei vicini delineavano la vicenda in maniera già chiara: c’era un uomo da ricercare, uno spasimante rifiutato, visto scappare dall’edificio. L’euristica della disponibilità tentava di condizionare il mio comportamento, e non potevo oppormi. Dovevo affrontare una vera e propria «fatica psichica» per vedere altre cose, quelle che derivavano dalle strumentazioni utilizzate. L’opinione pubblica aveva trovato il colpevole, un po’ come succede all’uomo di Lucio Dalla nella canzone Corso Buenos Aires…
In quel caso, solo azionando il Sistema 2 – con la verifica di tutta la procedura seguita, la catena di custodia, ecc. – si riesce a non perdere la calma e a mantenere la giusta dose di freddezza per concludere serenamente l’accertamento. Oggi ritrovo traccia del comportamento che ho avuto in quel frangente nel cosiddetto ragionamento metacognitivo, proposto da Flavell nel 1979 [1].
Si tratta della capacità di astrarsi sul proprio ragionamento riconoscendo eventuali punti deboli, di osservarlo e di riconoscerne le modalità per modificarlo. «Pensa a come stai pensando» sosteneva Flavell, descrivendo questa come una delle abilità che contraddistinguono l’intelligenza umana. Per comprendere i nostri errori dobbiamo sapere come pensiamo. Più in generale, chi ha un buon grado di metacognizione riesce a capire quando le sue performance non sono ottimali (self-monitoring).
[1] J.H. Flavell et al., Psicologia dello sviluppo cognitivo, Il Mulino, Bologna 1996.